16 Gennaio 2025 - 4:34 pm


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MonfalconePizzone Exxx…Polzive!!! La città che anticipa gli scenari politici nazionali finisce stritolata a “Fuori dal coro”. Per lavorare si paga il pizzo. Scoperchiato un sistema di sfruttamento e ricatti. Cisint: “Il centrosinistra ha invitato in consiglio regionale un senegalese condannato per gravi crimini contro i lavoratori”.

 

L’esclusivo report andato in onda ieri sera a “Fuori dal Coro”, trasmissione Tv condotta da Mario Giordano è stato ripreso dal quotidiano “La Verità” cui vi diamo il resoconto. Ed emergono particolari clamorosi, anche sul versante politico.   

“A Monfalcone – scrive Fabio Amendolara – cittadina dei cantieri navali in provincia di Gorizia, dove il ferro e il sudore si intrecciano da generazioni e dove ormai per le strade della città non sembra di essere in Italia, con un cittadino su tre straniero e oltre 10.000 bengalesi (molti dei quali di religione musulmana), una moschea sarebbe al centro di meccanismi sospetti e di un sistema di potere tanto efficace quanto opprimente. Sotto la superficie multiculturale si nasconderebbe un sistema di sfruttamento e di ricatti, un’ombra che attraverserebbe i cantieri e i centri di culto islamici, dove si anniderebbero caporalato e stipendi dimezzati. «Per quattro anni ho dato metà del mio stipendio. Quarantamila euro in totale. Se dicevi di no, eri fuori. Non lavoravi più», ha raccontato a Serena Pizzi, l’inviata di Fuori dal coro. Un lavoratore bengalese che ha chiesto l’anonimato. Le telecamere della Tv hanno scoperto che alcuni lavoratori immigrati, dopo aver ricevuto lo stipendio, verrebbero convocati in una piazza della città con una telefonata e, dopo essersi accalcati al bancomat per prelevare, ne consegnerebbero la metà a intermediari che farebbero da ponte con una destinazione ben precisa: la moschea. Lì, ha raccontato la fonte a Fuori dal coro, i soldi verrebbero gestiti da un ristretto gruppo di persone legate anche al mondo degli appalti nei cantieri. «Molti di questi soldi finiscono alla moschea. In giro per la città sembrano sapere tutti come funziona. Un operaio ammette: «Io sono bengalese ma non ho mai lavorato per i bengalesi, sono troppo furbi, con loro lavori sempre, ma alla fine del mese devi dare i soldi». Che in un ulteriore passaggio denuncia: «Il capo della moschea controlla tutto a Monfalcone, questa moschea fa business». E c’è una ripresa che sembra provarlo: da lontano una telecamera immortala uomini che si incontrano e che si scambiano contanti. Secondo le ulteriori testimonianze raccolte «alcune ditte ti pagano e poi devi ridare parte dello stipendio. Ogni mese è così, gli dai metà dei soldi che prende. Bou Konate, ingegnere senegalese e presidente onorario della moschea, il centro culturale Darus Salam, attivo dal 2003, che occupa locali con una destinazione d’uso diversa da quella prevista. Tira dritto quando viene avvicinato dall’inviata di Fuori dal coro e anche lui resta in silenzio. Come uno degli uomini filmati durante la fase di riscossione. A precise accuse, insomma, non sono corrisposte delle spiegazioni. Tra i personaggi al centro della vicenda ci sarebbe un certo Kabir Miah, un collaboratore della moschea già condannato a 3 anni e 4 mesi per caporalato (insieme ad altri condannati, in un processo con 15 lavoratori bengalesi costituiti parte civile, gli sarebbe stato sequestrato circa 1 milione di euro). Anna Cisint ora assessore alle Priorità strategiche per lo sviluppo urbano di Monfalcone ed europarlamentare, si dice «molto preoccupata». E retoricamente si chiede: «Come si può controllare? Esiste un sistema di controllo che verifica la provenienza dei fondi che finanziano i centri islamici?». Un attimo dopo fornisce la sua risposta: «No, io penso che non ci sia un sistema di controllo, e questo è molto grave, quindi oggi lo pretendiamo». Miah un mese fa, al seguito di Bou Konate, invitato da esponenti locali del Partito democratico e del Patto per l’autonomia per un incontro ufficiale sul Piano Monfalcone, è riuscito anche a entrare nella sede della Regione. E Cisint denuncia: «I papabili candidati alla carica di sindaco alle prossime elezioni, Diego Moretti (dem, ndr) ed Enrico Bullian (Patto per l’autonomia, lo scorso gennaio in un podcast ha intervistato il capo della moschea sostenendo di aver parlato con il senegalese della «Monfalcone che verrà, fra culture, storie e religioni», ndr), si sono presentati in Regione con un rappresentante della comunità bengalese condannato per gravi crimini contro i lavoratori. Non è accettabile che un condannato per caporalato venga invitato in sedi istituzionali. È un atto di arroganza e di ambiguità». Moretti però si è subito smarcato: «Portare un condannato per caporalato, che non conosco in alcun modo, in commissione è stato un errore che non può avere scusanti di alcun tipo». Poi ha aggiunto: «Se Bou Konate, l’unico intervenuto in commissione a nome delle associazioni islamiche monfalconesi, si è fatto accompagnare all’audizione da questa persona che ha riportato una condanna definitiva a 3 anni (scontata) per caporalato, allora ha sbagliato senza se e senza ma. Non ci sono scusanti». Mentre Bullian ha replicato ricordando che il centrodestra in passato aveva candidato un bengalese che avrebbe minacciato il taglio delle dita alcuni connazionali se non lo avessero votato. E Bou Konate? Alla fine sulle colonne del quotidiano il Piccolo, sprezzante, ha lanciato l’amo: «Ho deciso di candidarmi, ma Bullian ancora non lo sa». Monfalcone ribalta nazionale.

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